ISLEWORTH MONA LISA
IL MISTERO DELL'INCOMPIUTA DI LEONARDO DA VINCI
di
Luigi Pentasuglia
La Gioconda fu iniziata da Leonardo intorno al 1503/04, a Firenze, dove fu notata da Raffaello che ne trasse uno schizzo, quasi certamente a memoria, come lascia intendere la diversa altezza del parapetto con le due colonne che lo sormontano. Non si può tuttavia escludere che per quel suo bozzetto Raffaello si sia ispirato a una copia autografa incompiuta: la cosiddetta Isleworth Mona Lisa acquistata all’inizio del secolo scorso dal collezionista Hugh Blaker che la custodì nel suo studio nel sobborgo londinese di Isleworth.
Un’ipotesi questa supportata, tra l'altro, proprio dalla presenza delle colonne sul parapetto inesistenti nella Gioconda. Il fatto poi che ritragga una dama molto più giovane, ha indotto gli esperti a valutare la Isleworth Mona Lisa anteriore di almeno dieci anni la versione definitiva, ovvero, come noi supponiamo, che l'opera abbia invece funto da modello alla Gioconda.
La nostra ipotesi fa affidamento sullo stato d’incompletezza della Isleworth Mona Lisa per ciò che concerne lo sfondo paesaggistico, nonostante il volto della dama appare ormai completato e, paradossalmente, indiscutibilmente più avvenente di quello della Gioconda. Un volto, a dire il vero, assai somigliante a quello della Madonna del gruppo di Sant’Anna (Louvre), ciò che alimenta il mistero dell'identità della dama.
La risposta potrebbe forse leggersi tra le righe del saggio freudiano Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci in cui si cita un sogno infantile del genio vinciano incluso negli appunti sul ‘Volo degli avvoltoi’. Scrive Leonardo:
Questo scriver sì distintamente del nibio par che sia mio destino,
perché nella prima recordatione della mia infantia e' mi parea che,
essendo in culla, un nibio venissi a me e mi aprissi la bocca con la sua coda
e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra.
Freud rimarca che il contorno del drappo azzurro della Vergine richiama la silhouette di un avvoltoio in posizione supina, con la punta della coda che lambisce la bocca del bambino Gesù, cioè esattamente come nel ricordo infantile di Leonardo! Se dunque Leonardo si è in quel dipinto proiettato idealmente nel piccolo Gesù, perché non avrebbe dovuto effigiare la Madonna con le sembianze di sua madre Caterina, ossia le stesse della Isleworth Mona Lisa?
Certo è che Leonardo tratta il gruppo di Sant’Anna alla stregua di una matrioska: Sant’Anna tiene sulle ginocchia la Madonna che, a sua volta, imbraccia Gesù bambino. È dunque lecito supporre che, nell’economia simbolica del dipinto, la Vergine simboleggia il liquido amniotico, essendo quest’ultimo avvalorato dal colore azzurro e dalla forma d’avvoltoio del mantello, un animale - rammenta nello stesso saggio Freud - che nell’antico Egitto esprimeva appunto l’idea della maternità.
Che Leonardo nutrisse una vera e propria ossessione per il feto e l'habitat intrauterino è testimoniato dalla dovizie di schizzi sull’argomento. Emblematico un famoso passo incluso nel Trattato della Pittura di cui forniamo la sintesi:
«Tirato dalla mia voglia di vedere le varie forme fatte dalla artifiziosa natura,
ragiratomi infra gli ombrosi scogli, pervenni all’entrata d’una caverna.
Piegato le mie rene in arco e ferma la stanca mano sopra il ginocchio
feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia, e spesso piegandomi in qua e in là
per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa, subito si destarono in me due cose,
paura e desiderio, paura per la oscura spilonca; desiderio, per vedere se là entro fusse
alcuna miracolosa cosa».
Dunque, la posizione fetale assunta ad hoc da Leonardo fa della caverna la metafora dell’utero materno; sicché ciò che l’artista anela percepire è, letteralmente, la sensazione epidermica delle vibrazioni sonore prodotte dai flutti del mare (come si evince dall’espressione ragiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli), vibrazioni che agiscono meccanicamente sull’intera sua superficie corporea come lo stampo forgia il calco in esso contenuto.
Per avere un’idea più precisa dello stampo e del calco fetale, propongo la seguente versione tridimensionale in argilla di un celebre disegno di Leonardo. Si può osservare che delle due porzioni della placenta quella di sinistra riporta l’impronta del feto, il suo stampo amniotico - o ‘doppio amniotico’ come amo definirlo - che immagineremo solidificato. Ne consegue che il feto vive all’interno della sua stessa immagine tridimensionale che è in grado di assecondarlo plasticamente in ogni sua ben che minima movenza.
Ed è proprio all’idea di ‘doppio amniotico’ che pare rinviare uno strano dettaglio della Isleworth Mona Lisa. L’individuiamo immediatamente sopra la strada tortuosa, nel rigoglioso lembo di terra che si riflette nel sottostante specchio d’acqua. In realtà, a una più attenta osservazione, ci si accorge che il contorno superiore di tale particolare ricalca il profilo di un feto in posizione supina, di cui si distinguono al centro le dita di una mano (un indizio messo lì a bella posta!); ne consegue che il riflesso nell'acqua evoca lo stampo fetale impresso nel liquido amniotico.
È dunque a questo punto che, verosimilmente, Leonardo decide d'interrompere la Mona Lisa Isleworth per dedicarsi alla realizzazione ex novo della Gioconda di cui ha ormai chiara la strategia simbolica:
la Gioconda avrà infatti connotati autoreferenziali:
la fronte e gli occhi saranno i suoi;
il naso, la bocca e il mento di mamma Caterina.
In ultima analisi, la celeberrima dama in loggia incarna il testamento spirituale del genio vinciano o, più in generale, la metafora delle origini ancestrali dell'umanità verso cui ogni essere è inconsciamente attratto, quasi sospinto da una forza trascendente che tutto produce e riassorbe. Per saperne di più:
Luigi Pentasuglia,
I volti della Gioconda. Monna Tao: le radici orientali del templarismo
Edizioni Basileus, Matera 2016
(disponibile anche on-line in formato e-Pub)